scompenso miocardiaco

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Pregabalin, gabapentin e scompenso cardiaco

Secondo un recente studio di coorte, l’uso di pregabalin per il dolore cronico non oncologico sembra associarsi a un rischio più elevato di sviluppare scompenso cardiaco rispetto al gabapentin. 
Lo studio, condotto tra il 2015 e il 2018, ha coinvolto 246.237 persone di età compresa tra 65 e 89 anni, tutte affette da dolore cronico non oncologico, senza precedenti di scompenso cardiaco o malattie terminali. Tra questi, 18.622 partecipanti (7,6%) hanno iniziato la terapia con pregabalin, mentre 227.615 (92,4%) con gabapentin.
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Confronto di sicurezza fra clortalidone e idroclorotiazide

Il clortalidone non migliora significativamente gli esiti cardiovascolari rispetto all’idroclorotiazide ma si associa a un maggior rischio di anomalie renali e squilibri elettrolitici.

A darne notizia uno studio di coorte osservazionale retrospettivo statunitense che ha confrontato 36.918 pazienti in trattamento con clortalidone e 693.337 in terapia con idroclorotiazide.

Sono stati analizzati i dati di pazienti sia ambulatoriali sia ospedalizzati, cui era stata prescritta per la prima volta una terapia per l’ipertensione, raccolti tra il gennaio 2001 e il dicembre 2018.

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Le ricadute sul cuore degli antiestrogeni

Una revisione sistematica ha esaminato gli effetti cardiovascolari della terapia ormonale adiuvante in donne con una storia di tumore della mammella non metastatico.

Sono stati identificati 26 studi (15 randomizzati e controllati, 11 osservazionali) nei quali erano riportati uno o più di 7 esiti cardiovascolari in donne trattate con tamoxifene o con inibitori dell’aromatasi: tromboembolismo (15 studi), infarto del miocardio (14 studi), ictus (12 studi), angina (4 studi), scompenso cardiaco (4 studi), aritmia (1 studio), vasculopatia periferica (1 studio).

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Rischio di scompenso acuto con i FANS

Uno studio multicentrico internazionale con disegno caso-controllo coordinato dai ricercatori dell’Università Bicocca di Milano e condotto nell’ambito del progetto europeo Interest Safety of Non-Steroidal Anti-Inflammatory Project individua un’associazione tra l’impiego di 27 farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), compresi 4 inibitori selettivi della ciclossigenasi 2, e il ricovero per scompenso cardiaco.
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Inibitori della dipeptidil-peptidasi e scompenso cardiaco

Una revisione sistematica condotta da un gruppo di ricerca internazionale ha esplorato l’associazione tra l’impiego di inibitori della dipeptidil-peptidasi 4 (DPP-4) o gliptine, farmaci usati nel diabete, e lo scompenso cardiaco. La selezione della letteratura scientifica, aggiornata a giugno 2015, ha fornito un buon numero di fonti: 43 studi controllati e randomizzati (68.775 pazienti con diabete di tipo 2, confronto con placebo, cambiamento dello stile di vita o altro farmaco attivo) e 12 studi osservazionali (1.777.358 pazienti).
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Cardiotossicità da trastuzumab

Uno studio retrospettivo canadese ha individuato un aumento del rischio di scompenso cardiaco riconducibile al trattamento con trastuzumab. Delle 19.074 pazienti iscritte nell’Ontario Cancer Registry con diagnosi di cancro della mammella formulata nel periodo 2003-2009, il 17,7% aveva ricevuto il trastuzumab in chemioterapia adiuvante e l’84,9% era stato esposto ad antracicline.
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Profilo di rischio dei broncodilatatori nei pazienti con BPCO

Secondo uno studio canadese, nei pazienti anziani con BPCO il rischio di eventi avversi cardiaci è simile con l’impiego delle due classi di broncodilatatori di prima linea, gli anticolinergici a lunga durata d’azione o i beta agonisti inalatori a lunga durata d’azione.

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Sulfoniluree ed effetti cardiaci gravi

Il trattamento con sulfoniluree di vecchia o nuova generazione, come la glibenclamide o la gliclazide rispettivamente, non avrebbe un impatto significativamente diverso sul precondizionamento ischemico. Con questo termine si indica la capacità del tessuto miocardico di adattarsi a episodi brevi o ripetuti di ischemia che diventa un meccanismo di autodifesa rispetto a episodi successivi.

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Reazioni avverse dopo iniezione intravitreale di inibitori dell’angiogenesi

Uno studio di popolazione canadese esclude che la somministrazione intravitreale di un inibitore del VEGF e dell’angiogenesi per il controllo della degenerazione maculare retinica comporti un significativo aumento del rischio di complicanze cardiovascolari e/o tromboemboliche.

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