Gli inibitori delle tirosin chinasi (TKI), utilizzati nel trattamento della leucemia mieloide cronica, si associano a un aumento del rischio di eventi avversi cardiovascolari rispetto ad altri farmaci oncologici.
Il clortalidone non migliora significativamente gli esiti cardiovascolari rispetto all’idroclorotiazide ma si associa a un maggior rischio di anomalie renali e squilibri elettrolitici.
A darne notizia uno studio di coorte osservazionale retrospettivo statunitense che ha confrontato 36.918 pazienti in trattamento con clortalidone e 693.337 in terapia con idroclorotiazide.
Sono stati analizzati i dati di pazienti sia ambulatoriali sia ospedalizzati, cui era stata prescritta per la prima volta una terapia per l’ipertensione, raccolti tra il gennaio 2001 e il dicembre 2018.
Una revisione sistematica ha esaminato gli effetti cardiovascolari della terapia ormonale adiuvante in donne con una storia di tumore della mammella non metastatico.
Sono stati identificati 26 studi (15 randomizzati e controllati, 11 osservazionali) nei quali erano riportati uno o più di 7 esiti cardiovascolari in donne trattate con tamoxifene o con inibitori dell’aromatasi: tromboembolismo (15 studi), infarto del miocardio (14 studi), ictus (12 studi), angina (4 studi), scompenso cardiaco (4 studi), aritmia (1 studio), vasculopatia periferica (1 studio).
Secondo uno studio canadese, nei pazienti anziani con BPCO il rischio di eventi avversi cardiaci è simile con l’impiego delle due classi di broncodilatatori di prima linea, gli anticolinergici a lunga durata d’azione o i beta agonisti inalatori a lunga durata d’azione.
Il trattamento con sulfoniluree di vecchia o nuova generazione, come la glibenclamide o la gliclazide rispettivamente, non avrebbe un impatto significativamente diverso sul precondizionamento ischemico. Con questo termine si indica la capacità del tessuto miocardico di adattarsi a episodi brevi o ripetuti di ischemia che diventa un meccanismo di autodifesa rispetto a episodi successivi.
Uno studio di popolazione canadese esclude che la somministrazione intravitreale di un inibitore del VEGF e dell’angiogenesi per il controllo della degenerazione maculare retinica comporti un significativo aumento del rischio di complicanze cardiovascolari e/o tromboemboliche.
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