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focus / Domenica, Marzo 6, 2016
Case report
Domenica, Marzo 6, 2016

Camilla ha una taglia in più di reggiseno

Focus Farmacovigilanza 2016;92(1):11
Caso: 

A Camilla, 60 anni, viene diagnosticata un’epatite C (HCV di genotipo 4) per cui viene posta in terapia per dodici settimane con una triplice associazione costituita da ombitasvir (12,5 mg), paritaprevir (75 mg), ritonavir (50 mg) più ribavirina (1.000 mg).
Dopo la prima settimana di trattamento la donna si lamenta per la comparsa di alcuni effetti collaterali, tra cui insonnia, incubi, stanchezza, mal di testa, dolore alle gambe, disuria, pollachiuria e anemia. Nell’ipotesi di un’infezione delle vie urinarie disuria e pollachiuria vengono trattate con levofloxacina 750 mg/die e un integratore alimentare a base di 1-metionina e mirtillo. Gli esami di laboratorio mostrano una significativa anemizzazione, che viene corretta con la somministrazione di epoietina beta 30.000 UI/settimana.
Alla dodicesima settimana di trattamento farmacologico Camilla si trova il seno aumentato di una taglia a causa di un’ipertrofia mammaria bilaterale. I medici, dopo aver esaminato il caso, sottopongono la donna a una serie di esami tra cui un’ecografia mammaria che mostra una componente ghiandolare residua senza lesioni di tipo neoplastico e senza alcun coinvolgimento dei linfonodi ascellari. L’anamnesi patologica remota di Camilla non rivela nulla di particolare, avendo avuto in passato solo episodi di gastrite e di ernia iatale. Inoltre la donna, in menopausa da qualche anno, non ha mai assunto una terapia ormonale sostitutiva. A questo punto i medici concludono che l’ipertrofia mammaria è probabilmente riconducibile al trattamento farmacologico a base di ombitasvir/paritaprevir/ritonavir e ribavirina, e infatti quattro settimane dopo la fine della terapia l’ipertrofia mammaria regredisce e Camilla risulta negativa al test del virus dell'epatite C.
Che cosa è successo?

Una possibile spiegazione

In letteratura e nelle fase di pre marketing non risultano casi di ipertrofia mammaria indotta dalla triplice associazione ombitasvir/paritaprevir/ritonavir e da ribavirina, anche se è noto che il ritonavir da solo può indurre ipertrofia mammaria con una frequenza ignota e solo dopo esposizione prolungata.1 Casi di ipertrofia della mammella sono stati segnalati anche con altri inibitori della proteasi, ma sempre e solo in seguito a lunghi periodi di esposizione.2
Il meccanismo farmacologico che ha causato l’ipertrofia mammaria potrebbe essere riconducibile all’azione di inibizione del ritonavir a livello del citocromo CYP3A4 e di due proteine - proteina 1 legante l’acido retinoico cellulare e proteina legante il recettore lipoproteico a bassa densità - che hanno un’alta omologia di sequenza (60%) con il target del ritonavir. Le conseguenze sono una mancata conversione dell’acido retinoico in acido cis-9-retinoico,3 il mancato legame dell’acido retinoico e la riduzione del clivaggio dei chilomicroni, con una alterazione del profilo lipidico e un accumulo di adipe soprattutto a livello dell’addome e delle mammelle. Inoltre, si presuppone che la concomitante somministrazione di ombitasvir e paritaprevir possa esacerbare questa reazione avversa; in particolare il paritaprevir, inibendo i trasportatori OATP1B1 e OATP1B3, annulla la ricaptazione del ritonavir, diminuisce la sua eliminazione e aumenta quindi la sua tossicità.4 Benché i meccanismi patogenetici del caso preso in esame non siano completamente chiariti, l’algoritmo di Naranjo indica che la relazione di causalità tra i farmaci e la reazione avversa è “probabile”.
Come con altri farmaci in associazione di recente immissione in commercio, la sorveglianza post marketing resta lo strumento essenziale per definire meglio il profilo di sicurezza.

Bibliografia: 
  1. Scheda tecnica Norvir (ritonavir capsule). AbbVie Inc 2015.
  2. Clin Infect Dis 1997;25:937-8. CDI NS
  3. Lancet 1998;351:1881-3. CDI NS
  4. Biol Pharm Bull 2015;38:155-68. CDI

Liliana Fusco1, Marta Gentili1, Carlo Magni2, Carla Carnovale1, Matteo Bolis2, Simona Landonio2, Fosca Niero2, Marco Matacena1, Emilio Clementi1,3, Sonia Radice1
1 Unità di Farmacologia Clinica, Dipartimento di Scienze Cliniche e Biomediche, AO Universitaria Luigi Sacco, Università di Milano
2 Unità di Malattie Infettive, AO Universitaria Luigi Sacco, Università di Milano
3 IRCCS E. Medea, Bosisio Parini, Lecco

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